Le controversie in materia di prostituzione ed i diritti delle sex worker: quando ci potrebbe essere bisogno di un avvocato cassazionista a Roma.
che cos’è il sex work?
Il “sex work”, o lavoro sessuale, è un termine usato per riferirsi a tutti gli aspetti del lavoro nell’industria del sesso ed in primo luogo della prostizione.
Questo può includere una serie di attività come l’attività di escort, la prostituzione, la danza esotica, la pornografia, il lavoro di camgirl/camboy, il lavoro del telefono sessuale, e altro ancora.
Il termine “sex work” è stato coniato negli anni ’80 dall’attivista per i diritti delle sex worker Carol Leigh.
L’obiettivo era quello di conferire legittimità a questi mestieri, riducendo lo stigma associato e sottolineando il fatto che si tratta di un lavoro che merita diritti e protezioni come qualsiasi altro lavoro. L’uso del termo “sex work” riflette un cambiamento di prospettiva: dal vedere il lavoro sessuale come un problema morale o criminale, a vederlo come un problema di diritti umani e di lavoro.
È importante notare che ci sono molte discussioni e controversie riguardo al sex work, comprese questioni relative alla legalità, alla moralità, all’autonomia personale, all’abuso e allo sfruttamento. In alcuni luoghi, varie forme di sex work sono legali e regolamentate, mentre in altri sono illegali. Molti attivisti per i diritti delle sex worker si battono per la decriminalizzazione del sex work, per consentire ai lavoratori di avere accesso a protezioni legali e di lavorare in condizioni più sicure.
E’ legale fare la escort o andare con una escort in Italia?
Si, fare la escort in Italia è indubbiamente legale e così lo è usufruire dei servizi di una escort.
La situazione delle sex worker in Italia è complessa e affronta una serie di sfide legali e sociali.
Allo stato attuale, la prostituzione in sé non è illegale in Italia, ma organizzare o sfruttare la prostituzione è considerato illegale. Questo significa che attività come il mantenimento di case chiuse, il lenocinio e la tratta di esseri umani sono tutte attività illegali. Questo modello è a volte definito “proibizionismo”.
Il risultato è che, mentre le sex worker possono tecnicamente lavorare, non hanno la protezione legale che avrebbero in paesi che regolamentano la prostituzione. Le sex worker italiane affrontano spesso la stigmatizzazione sociale, la violenza, e possono essere multate per violazioni dell’ordine pubblico.
La legge Merlin del 1958
La legge Merlin del 1958 ha chiuso le case di prostituzione legali in Italia con l’intenzione di porre fine allo sfruttamento delle donne, ma molti sostengono che ha avuto l’effetto collaterale di rendere le sex worker più vulnerabili.
Diversi gruppi di attivisti in Italia stanno cercando di cambiare le leggi riguardanti il sex work, sostenendo che la decriminalizzazione e la regolamentazione possono fornire alle sex worker più sicurezza e dignità. Tuttavia, questi sforzi sono controversi e affrontano molta opposizione.
È importante sottolineare che questa è una descrizione generale e la situazione può variare molto a seconda del contesto specifico di ciascuna sex worker. Le sex worker possono variare da persone che scelgono liberamente questo lavoro a persone che sono costrette in questa situazione a causa di circostanze come la povertà, la discriminazione, o la tratta di esseri umani. Le esperienze delle sex worker possono anche variare a seconda di fattori come l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, e altre caratteristiche personali.
Lo sfruttamento della prostituzione
Lo sfruttamento della prostituzione è un reato è può realizzarsi con qualsiasi forma di sfruttamento o di vantaggio economico dal lavoro di una sex worker.
Sfruttamento può essere anche favoreggiamento, ovvero una attività diretta ad agevolare l’attività del prostituirsi, che pertanto può consistere anche solo nel mettere in contatto la sex worker con altri clienti.
Anche pubblicare su di un sito web le prestazioni di una sex worker a determinate condizioni può configurare sfruttamento della prostituzione.
Lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione sono due concetti distinti, ma spesso collegati, relativi alla pratica della prostituzione. Vediamo di definirli in modo più preciso:
- Sfruttamento della prostituzione: Questo termine si riferisce all’atto di sfruttare una persona coinvolta nella prostituzione attraverso l’uso di coercizione, violenza, minacce o abusi di potere. Il sfruttamento può manifestarsi in varie forme, come il traffico di esseri umani, l’adescamento, la tratta, lo sfruttamento sessuale di minori o l’impiego di persone vulnerabili in condizioni di lavoro forzato. In queste situazioni, la persona coinvolta nella prostituzione viene privata della sua libertà e dei suoi diritti fondamentali, spesso costretta a lavorare contro la sua volontà.
- Favoreggiamento della prostituzione: Il favoreggiamento della prostituzione riguarda l’azione di agevolare o promuovere la pratica della prostituzione da parte di terze persone. Questo può includere fornire servizi di supporto, come luoghi di lavoro, pubblicità, servizi di protezione o organizzazione di incontri sessuali a pagamento. Il favoreggiamento può coinvolgere sia individui che organizzazioni che traggono profitto economico o vantaggi personali dalla pratica della prostituzione, senza necessariamente coinvolgere atti di sfruttamento.
Quali diritti hanno le sex worker in Italia?
Le sex worker hanno diritto alla sicuretta ed alla dignità, ed in quanto esseri umani hanno diritto a tutte le tutele derivanti dalla costituzione, dalle convenzioni internazionali e dalle leggi.
La prostituzione in sé non è illegale in Italia, ma molte delle attività ad essa correlate sono penalmente perseguibili, come lo sfruttamento e la tratta di persone, o il favoreggiamento della prostituzione.
Quindi, una persona può legalmente vendere servizi sessuali, ma non può lavorare in una casa chiusa, o avere un protettore o un manager. Questo modello legale, come ho menzionato prima, può essere descritto come “proibizionista”.
In termini di diritti, le sex worker in Italia sono in una posizione complicata. Non hanno diritto a protezioni occupazionali standard come l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, le pensioni, la maternità e la malattia, poiché la loro professione non è riconosciuta come un lavoro legittimo. Inoltre, non possono denunciare abusi sul lavoro senza temere di essere multate o perseguite per reati correlati, come il disturbo della quiete pubblica.
Le sex worker, come tutti i cittadini, hanno comunque diritto alla protezione personale e alla sicurezza. Hanno il diritto di rifiutare un cliente o un servizio e di denunciare atti di violenza o crimini contro di loro. Tuttavia, a causa dello stigma sociale e della paura della discriminazione o della persecuzione, molte sex worker possono sentirsi a disagio nel cercare aiuto dalle forze dell’ordine.
Diverse organizzazioni e gruppi di attivisti in Italia stanno lavorando per cambiare la legge e ottenere un maggiore riconoscimento e protezione per le sex worker, ma il progresso è lento e la questione è molto controversa. Molti sottolineano l’importanza di ascoltare le voci delle sex worker stesse in queste discussioni.
La prostituzione minorile
La prostituzione minorile è chiaramente vietata.
Nei casi in cui si verificano episodi di prostituzione minorile la giurisprudenza penale e da ultimo la Corte di Cassazione nel 2023 ha affermato che: “L’induzione, lo sfruttamento, il favoreggiamento della prostituzione minorile e la fruizione di un rapporto sessuale con un minore in cambio di denaro o altra utilità postulano il dolo generico, sicché, per la sussistenza dell’elemento soggettivo, è sufficiente l’agente sia consapevole della natura degli atti sessuali compiuti con un soggetto che sa essere minorenne in cambio di denaro o altra utilità“.
Le prostitute devono pagare le tasse?
Si le prostitute devono pagare le tasse in Italia per i redditi realizzati nell’esercizio della loro attività di sex work, anche se queste non hanno materialmente un codice ateco che le permetta di avere un partita IVA.
Non resta per le sex worker che ingegnarsi con soluzioni sostenibili e congrue rispetto al caso concreto.
L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate sui redditi da prostituzione
L’Agenzia delle Entrate può contestare ad una sex worker la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi ed il mancato versamento di IVA e IRPEF.
In particolare può essere facile per l’Agenzia procedere a tali accertamenti in presenza di rilevanti depositi di contanti sui conti correnti a fronte di assenza di redditi.
L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate per i redditi da prostituzione
La Corte di Cassazione con sentenza 22413/2016 si è pronunciata sull’impugnazione di un accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate ad una sex worker per i redditi di questa derivanti da attività di prostituzione.
In particolare, la Cassazione ha rigettato il ricorso della sex worker e quindi ha confermato la legittimità dell’accertamento in quanto:
- nella fattispecie concretamente esaminata, ha ricondotto i proventi della prostituzione esercitata dalla contribuente alla categoria dei “redditi diversi”, assimilabili al reddito da lavoro autonomo;
- Il giudice di appello ha correttamente rilevato che l’Ufficio ha proceduto all’accertamento d’ufficio ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 con riferimento alle annualità per le quali non è stata presentata denuncia dei redditi; con riferimento all’annualità per la quale è stata presentata dichiarazione, ha proceduto a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 riguardante la rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, che espressamente richiama le metodologie previste dall’art. 39 stesso D.P.R., tra le quali “l’utilizzo dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32” (nella specie accertamenti bancari).
- Il giudice di appello non ha qualificato i proventi dell’esercizio dell’attività di prostituzione quale “redditi di impresa”, ma li ha qualificati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 6 e art. 67, lett. l) quali “redditi diversi derivanti dall’attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare”. La pretesa contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui afferma che la contribuente svolgeva attività di prostituzione in forma occasionale pur avendo clienti abituali, è comunque circostanza irrilevante: l’esercizio della attività di prostituzione, occasionale o abituale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1 lett. f); il requisito della abitualità è rilevante ai diversi fini dell’assoggettamento dei proventi dell’attività di prostituzione anche alle imposta indirette (Iva) a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.5, secondo cui costituisce esercizio di arti o professioni, soggette all’Iva, l’esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo (in tal senso Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 13/05/2011, Rv. 618085).
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